Livio Romano, Per troppa luce

Radio e TV
Isbn: 9788898605422
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 13 ottobre 2016

«Teniamo un centinaio di ’sti alberelli per figura, per addobbo, il resto si spiana tutto...»
Un professore universitario, il proprietario di una tv locale e un ricco medico ingaggiano l’architetto portoghese Francis Arrangiau perché progetti nel Salento un colossale parco tematico finanziato per intero da fondi pubblici. C’è da abbattere la masseria in cui vivono centinaia di immigrati e imbastire una ragnatela di carte false.
Antonio è un ispettore del lavoro e Simona un avvocato. Si incontrano, si innamorano, si lasciano. Entrambi, però, e per vie diverse, si ritrovano coinvolti nella battaglia contro il comitato d’affari. Attorno a loro si muove una folla variopinta di personaggi: una principessa araba, un ricercatore precario gigolò per sopravvivere, l’ex consigliera del dittatore Ceaușescu, un pm geniale, uno psicologo arraffone, scrittorini oscuri quanto vanitosissimi e un gran numero di trentenni plurilaureati che accettano miseri lavori nella comunicazione pur di non emigrare.
Sullo sfondo di una provincia italiana sfrenatamente libertina, Per troppa luce è una commedia grottesca con un colpo di scena drammatico, in cui l’impegno civile è un modo per dare un senso duraturo alla propria esistenza e lasciare una traccia di sé.

Livio Romano è nato nel 1968 a Nardò, in provincia di Lecce, dove vive. Insegna italiano agli stranieri. Ha esordito con tre racconti in Sporco al sole a cura di Michele Trecca, Gaetano Cappelli ed Enzo Verrengia (Besa Booksbrother, 1998) e con un racconto in Disertori (Einaudi), a cui sono seguiti i romanzi Mistandivò (Einaudi, 2001), Porto di mare (Sironi, 2002) e Niente da ridere (Marsilio, 2007), il saggio Da dove vengono le storie (Lindau, 2000) e il lungo reportage dalla Bosnia Dove non suonano più i fucili (Big sur, 2005).
Wikipedia gli dedica una pagina.
Come inizia
Verso la fine di febbraio del 2010, per sei volte di seguito i confettati incisivi superiori di Giuseppe Ratzinger si fecero largo nel crespo della bocca per guadagnare l’aria, afferrare il labbro inferiore, colà adagiarsi lieti. Pure, le inquadrature comprendevano il resto della faccia, i piccoli occhi cerchiati, i capelli lisci e appena untuosi, e le susine lattee, imperlate, che le zanne stesse, nell’atto dell’erompere, lavoravano a formare sulla cima delle gote.Ma l’attenzione dei telespettatori, alla fine delle felpate ed eccellentemente ritmate declaratorie su froci travestiti transessuali fornicatrici puttane onaniste adultere divorziate concubine dottoresse in filosofia e scienze umanistiche in generale: era catturata solo per un istante dal ritirarsi delle palpebre per poi concentrarsi esclusivamente sull’eruzione nobile delle due ampie mandorle e sulla loro svelta pressa su quasi l’intera mandibola – sguardo ch’Egli aveva scelto come giocondo suggello alle parole di velluto anzi dette.

In linea di massima, comunque, in quella stagione portava esser lesbiche. [...]
Rassegna stampa






Uno dei tanti meriti di Per troppa luce, il nuovo romanzo di Livio Romano, è quello di suggerire le domande giuste. La prima potrebbe essere: perché il tema del parco turistico d’ambientazione storica gode, da qualche anno, di così larga fortuna? Dopo “Eternapoli” di Giuseppe Montesano (Di questa vita menzognera, 2003) e il “Trinacria Park” dell’omonimo romanzo di Massimo Maugeri (2013), ecco infatti “Neripoli”, mostruoso parco a tema che campeggia in Per troppa luce. In realtà, qui, il parco si presenta solo in forma di progetto, ideato da tre affaristi cialtroni e un sedicente architetto; a opporvisi, un comitato di cittadini che vuole proteggere l’area del Salento a esso destinato e già coltivata a ulivi secolari. Ebbene, un motivo per cui l’idea del parco tematico eccita la fantasia degli scrittori potrebbe essere la sua predisposizione a offrirsi quale allegoria di quella che Gilles Lipovetsky chiama Cultura-Mondo: nuova forma che, nell’Ipermoderno, assume la cultura, la quale, avendo assorbito le logiche del mercato, propone secondo tali logiche ogni fenomeno culturale, spettacolarizzandolo e conferendogli quella leggerezza che ne permetta un facile e veloce consumo.
Eppure, dopo pochi capitoli, potrebbe sorgere un altro dubbio: che Per troppa luce sia soprattutto un romanzo d’amore. È vero, la storia di megalomania edilizia è quella che fa da scheletro e che ci fa scorrere rapidissimamente sulla rètina una carrellata di immagini cult della nostra epoca, facendoci così sperimentare, grottescamente amplificata, la nuova percezione dello spazio-tempo: ma ciò che dà carne e sangue e peso al romanzo è il contraddittorio rapporto sentimentale fra l’ispettore del lavoro Antonio Congedo (nome che è quasi una profezia autoavverantesi) e Simona, avvocato civilista. Entrambi invischiati nelle disavventure di Neripoli, attraverso poche scene simboliche ad altissima intensità (sublime la corsa sulle cyclette orientate verso il firmamento) i due ci spingono a domandarci se e come, oggi, si possa amare, lasciandosi coinvolgere nel profondo, godendo della passione, del sesso come di «una celebrazione della vita, dell’amore, del creato». Galleggiano, infatti, attorno a loro, coppie d’ogni genere, tutte affannate in rapporti sessuali superficiali, frettolosi e distratti, strategici e utilitaristici, bulimici e anaffettivi, sorta di onanismi di coppia inutilmente acrobatici o comicamente improduttivi.
Un’altra domanda riguarderà, poi, il titolo: sebbene questo si riferisca alla qualità del rapporto tra Antonio e Simona, come pure alle ragioni della resistenza opposta da Antonio, il senso è così potente e pervasivo da estendersi all’intero romanzo Un’altra domanda riguarderà, poi, il titolo: sebbene questo si riferisca alla qualità del rapporto tra Antonio e Simona, come pure alle ragioni della resistenza opposta da Antonio, il senso è così potente e pervasivo da estendersi all’intero romanzo. L’esposizione all’intensità della luce naturale che il sentimento, la bellezza interiore, l’intimità condivisa diffondono ci fa paura, non ci siamo più abituati. Non solo: se la luce conferisce al mondo e alla dimensione spazio-temporale la prospettiva, la profondità tipiche del moderno e della cultura umanistica, non potrà che esser guardata con sospetto in un setting in cui il tempo ha rinunciato al proprio futuro progettuale e s’è acquattato sulla superficie del (godimento) presente, mentre il passato storico-culturale è diventato un business redditizio.
Arriviamo così alla domanda successiva: quanto appeal può avere, sul mercato, un romanzo che propone un linguaggio così poderoso e vitale da sembrare che stia sperimentando su di sé la complessità del mondo? Ebbene, Per troppa luce è la risposta: romanzo godibilissimo, appassionante e divertente, se riesce ad afferrare il lettore e a trascinarlo allegramente nell’algido inferno del nostro tempo è proprio in virtù di una lingua tentacolare, che origina, sì, da una naturale inclinazione, già esibita nel 2001 in Mistandivò ma che oggi ha raggiunto il massimo della potenza e della maturità espressive. Fa da Virgilio un irresistibile narratore onnisciente, bonariamente ironico, sarcastico, parodico, che s’intromette, commenta e chiama in causa il lettore. Infine, l’ultima domanda sembra che Livio Romano si diverta proprio a suggerirla. Così ci descrive, infatti, il modus operandi di Antonio: «Una volta fiutata una pista, la sua mente (…) prendeva non solo a cogliere sfumature le più minuziose, ma a deformare la realtà fenomenica perché combaciasse con l’ermeneutica più accreditata di un combinato disposto di disposizioni di legge». Ora, se aggiungiamo anche i ritratti dei personaggi resi attraverso la fisiognomica, la gestualità, le inflessioni dialettali; la ricostruzione dei “motivi biografici”, il risalire “alle cause delle cause” nelle singole biografie e l’intrecciarsi di queste con la storia collettiva degli ultimi quarant’anni, viene da chiedersi: non sarà che nella vena espressiva di Livio Romano scorra la prosa d’un gigante della letteratura, Carlo Emilio Gadda?
I libri di Livio Romano pubblicati da Fernandel: