Sara Durantini, Nel nome del padre

Isbn: 9788887433852
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: maggio 2007

Intervista all'autrice
È possibile pensare a una relazione sessuale fra padre e figlia che sia una forma d’amore e non una violenza? Sara, sedici anni, è una ragazza difficile da definire. È una ragazza sola, che vive in una famiglia costruita sulla menzogna. Daniela, la madre di Sara, è concentrata sul fallimento del suo matrimonio, e avverte la figlia come ostile, nemica. Sara cerca conforto nel padre, Fabrizio. Quello che c’è tra loro è un rapporto teneramente ambiguo: fanno la doccia insieme, dormono nello stesso letto, si spogliano senza inibizioni. Quando Fabrizio lascia la famiglia per andare a vivere da solo, spinto da una collega di lavoro con la quale da tempo ha una relazione, Daniela annega il dolore nell’alcol e se la prende con la figlia. Sara si allontana ancora di più da lei, e rifiuta di vedere il padre da cui si sente tradita. Dopo un violento litigio, la rivelazione: Daniela in poche frasi rievoca i momenti che Sara aveva seppellito nella sua memoria. Si rivede nel letto dei suoi genitori mentre suo nonno abusa di lei, come aveva fatto molti anni prima con sua figlia, Daniela. Allora Sara fugge, va a vivere a casa dell'amica Barbara, cerca in altri uomini una tenerezza che non ha più. Ma Fabrizio, suo padre, è l’unico uomo su cui si sente di poter contare. L’uomo che ha amato fin da quando era bambina. Sara decide di trasferirsi a casa di Fabrizio. La casa è vuota, ci sono solo i loro corpi e la voglia di ritrovarsi uno di fronte all’altro, un uomo e una donna. Il romanzo d'esordio di Sara Durantini è insolitamente tenero per l'argomento che affronta: indulgente nei confronti di un tabù come l'incesto, radicatissimo nelle civiltà occidentale. Questo coraggio compensa qualche dubbio sulla verosimiglianza di una trama che tuttavia avvince e scava dubbi nel lettore. Ma Sara Durantini afferma in un'intervista: “Non credo ci sia niente di scandaloso nel dormire con la propria figlia, o nel fare la doccia con lei, anche se talvolta non si ha il coraggio di ammetterlo per paura del giudizio della gente”. Così Sara Durantini nega che 'incesto' faccia necessariamente rima con 'violenza', e contrappone l'abuso del nonno con la tenerezza del padre: “Perché ci si deve vergognare di amare il proprio padre? Dov’è la perversione se si tratta di amore?”. Ma è davvero minato il terreno su cui ci si addentra con queste domande che alla Durantini devono apparire retoriche. Limitiamoci a constatare che il suo romanzo è un libro coraggioso oltre che ben scritto, e pone dubbi legittimi che meriterebbero un'approfondita discussione.
Nessun tema è volgare se trattato nel modo giusto. Il romanzo è rivolto alle ragazze senza una figura paterna. Può l’amore tra un padre e una figlia spingersi oltre le barriere del lecito senza, per questo, indignare o scadere nella volgarità? Secondo Sara Durantini, giovane scrittrice mantovana di San Martino dall’Argine, sì. Nel suo primo libro, Nel nome del padre pubblicato dalla casa editrice ravennate Fernandel, Sara affronta proprio questo argomento senza falsi pudori e con un certo romanticismo di fondo che accompagna tutte le pagine del romanzo.
La domanda che sorge spontanea è come mai una ragazza così giovane (Sara è nata nell’84, ndr) ha deciso di affrontare un tema così difficile come l’incesto…
In un certo senso ho ripreso una mia esperienza personale. Meglio precisare, però. I miei genitori si sono separati quando io avevo cinque anni e da allora il mio rapporto con mio padre si è, praticamente, azzerato. La figura paterna è diventata un miraggio per me e, allo stesso tempo, la mancanza di mio padre mi ha provocato anche problemi relazionali con l’altro sesso. In certo senso è come se in questo romanzo avessi trasfigurato la mancanza del rapporto con mio padre estremizzandolo fino a inventarmi una relazione amorosa e carnale. Una relazione che però non scade mai nella volgarità grazie all’amore di cui è pervasa.
Che reazioni hanno avuto i suoi genitori dopo aver letto questo libro?
Mia madre, dopo un iniziale disorientamento e una comprensibile preoccupazione per il tema che ho trattato, mi sta appoggiando alla grande. Mio padre non l’ha ancora letto e quando mi chiamerà gliene parlerò.
Vuole diventare la nuova Melissa P. (autrice del libro scandalo Cento colpi di spazzola, ndr)?
No. Il mio desiderio non è scandalizzare ma affrontare i temi anche quelli forti. Non a caso sto già scrivendo un altro romanzo dal forte impatto sociale, ma non voglio dire di più, per ora.
Fino a dove può spingersi la liceità dell’amore, soprattutto se in gioco sono il sesso tra un padre e una figlia? Un’autrice esordiente, Sara Durantini (classe 1984) racconta un intreccio complesso di solitudine, dolore e bisogno di amore con al centro Sara, figlia di una coppia in crisi e la sua iniziazione sessuale di adolescente a opera dell’uomo che l’ha messa la mondo. Un’opera prima intensa e disturbante.
Un tema difficile per un’opera prima riuscita. Per il suo debutto – “Nel nome del padre” (Fernandel) - l’esordiente Sara Durantini (classe 1984) ha scelto una materia che, tra parole esplicite e molto detto non detto, sfiora lo scabroso. Protagonista del romanzo è Sara, una sedicenne solitaria, con una famiglia segnata dal matrimonio fallito tra Daniela (segnata da un passato di violenze e repressione) e Fabrizio travolto dalla passione per l’amante. Il padre diventa per Sara l’essenza dell’Uomo, desiderato anche fisicamente (tra docce e letti condivisi) non sappiamo fino a che punto. Incesto ricercato dai protagonisti, oppure no? Una giovane scrittrice per la storia dell’iniziazione sessuale di un’adolescente in cerca dell’amore (senza retorica alla Liala).
Un padre, Fabrizio, e una figlia sedicenne, Sara, ingabbiati in un amore che va oltre il rapporto padre-figlia, sulle ceneri di una famiglia costruita sull’apparenza e sulla menzogna. La giovanissima Sara Durantini esordisce con un romanzo che affronta temi difficili, come abusi, incesto e innocenza perduta, ma lo fa con grazia e un misto di ingenuità e levità.
Potrebbe finire sugli scaffali con romanzi dalle forti connotazioni sessuali sfornati da donne giovani e giovanissime in questi ultimi anni, l’esordio della mantovana Sara Durantini. In effetti, il rischio di essere infilato nella marea montante di testi senza arte né parte, scritti da ninfette pronte a dichiarare il loro santacrociano approccio al connubio “sesso e dolore”, In nome del padre lo corre, e tanto. Vuoi per il tema scabroso, vuoi per l’età dell’autrice. Soprattutto per il tema, che affronta uno dei massimi tabù rintracciabile in tutte le civiltà del pianeta: l’incesto. Durantini lo propone ribaltandolo nel segno, ponendolo cioè nella prospettiva dell’innamoramento e non in quella della violenza sessuale. Una bella capriola che l’autrice ventitreenne riesce a sostenere abbastanza bene, non tanto nella tesi (faccenda però tutta ascrivibile all’etica e alla morale di ogni lettore) quanto nello stile con cui viene proposto il tema. Uno stile narrativo ancora acerbo – e lo si nota specialmente nei dialoghi, troppo legati a un dettato televisivo e di quando in quando didascalici, come pure nell’inserimento della voce fuoricampo del narratore, non perfettamente calibrata – ma di già attento alle sfumature psicologiche dei personaggi, al loro evolversi, e accorto nel rendere in modo il più sobrio possibile l’avvicinamento intimo fra padre e figlia. Così facendo il romanzo, edito dalla ravennate Fernandel, prova ad aggirare le tante storie che, pur di colpire il lettore, si appropriano del vasto bagaglio di turpitudini e situazioni da bassa macelleria. Sempre a livello stilistico Durantini cerca di far suoi gli insegnamenti fra loro contrastanti di autrici quali Amelie Nothomb, Isabella Santacroce e la prima Dacia Maraini, per quanto a nostro avviso il romanzo sembri pescare in quella zona di confine fra il “rosa” e il melodramma, tanto che nelle pagine scritte da Durantini si potrebbero leggere riferimenti – involontari o non totalmente esplicitati – a certe pellicole matarazziane degli anni Cinquanta, ma alleggeriti dalle “catene” della retorica narrativa dell’epoca. E riferimenti ci potrebbero essere con il fotoromanzo – genere popolar-narrativo molto diffuso fino a un paio di decenni addietro – per la scansione degli avvenimenti, oltre che per come viene a dipanarsi la storia. Ma Nel nome del padre, che non appare come una testimonianza di nuovo femminismo, per quanto Sara, la protagonista, affermi una presa di coscienza della propria sessualità, sembra rifarsi prima di tutto a certo romanzo borghese di fine Ottocento, e al dramma da camera, di cui riprende gli assunti base. Qualunque siano però i veri riferimenti stilistici de Nel nome del padre, il suo pregio sta nel riuscire a raccontare una storia senza scadere nel gratuito. Cosa non tanto scontata fra i nostri giovani narratori.
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