Andrea Malabaila, La parte sbagliata del paradiso

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Isbn: 9788898605040
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: marzo 2014

La strada del paradiso è lastricata di sogni e di false illusioni
Quando Ivan conosce Valentina, la splendida e viziata figlia del suo capo, è soltanto un giovane operaio che lavora in un’azienda metalmeccanica. Lui, che nella vita si è sempre accontentato, decide di darsi da fare per conquistarla e trova un’idea commerciale che presto si rivelerà vincente. Ma Valentina è impegnata, lontana e soprattutto piena di blocchi emotivi.
Dopo un lungo tira e molla i due iniziano una relazione, e per Ivan (che Valentina ribattezza “Ivano”, un nome meno politicizzato e che per lei significa possesso e appartenenza al gruppo) comincia una nuova vita, in cui l’entusiasmo della ragazza lo trascina in un’esistenza fatta di eccessi. Mentre tutti si sacrificano per far fronte alla crisi, loro continuano a vivere una festa che sembra senza fine, anche se alla lunga i problemi economici si faranno insostenibili... Sono trascorsi dieci anni dal loro primo incontro, e Ivano sta per essere scacciato dal paradiso che si era illuso di conquistare.

Andrea Malabaila è nato a Torino nel 1977. Ha pubblicato i romanzi Quelli di Goldrake (Di Salvo, 2000), Bambole cattive a Green Park (Marsilio, 2003), L’amore ci farà a pezzi (Azimut, 2009), Revolver (BookSalad, 2013), la raccolta Chi ha ucciso Bambi (Historica, 2011), i racconti lunghi Torino è un riccio (Historica, 2012) e Latte chimico (Il Foglio, 2013). Ha fondato e dirige la casa editrice Las Vegas.
Come inizia
Tutte le storie sono storie di amori infelici. Ivan Costamagna non aveva un amore né una storia da raccontare, e a suo modo poteva dire di essere felice.Erano le quattro e trenta spaccate quando premette i due pulsanti e tirò la leva dell’interruttore per spegnere il tornio a controllo numerico. Era un rito che ripeteva ogni giorno e sempre alla stessa ora, senza sgarrare di un minuto. Ma dire che Ivan era un abitudinario sarebbe fargli un torto: semplicemente era uno che andava di fretta. Non aveva tempo da sperperare, perché non era nato ricco e aveva imparato presto il senso del sacrificio: il suo si compiva dal lunedì al venerdì in un capannone industriale. Ivan si alzava alle sette, alle otto era al lavoro, alla mezza si fermava per la pausa pranzo e all’una ricominciava. Non capiva quei suoi colleghi che cincischiavano davanti alla macchinetta del caffè o si perdevano in interminabili straordinari. La vita era là fuori.
Si avviò verso lo spogliatoio e sfilò davanti agli operai più anziani che non lo degnarono di uno sguardo. A nessuno di loro era chiaro cosa gli passasse nella testa. Non era una questione di età: alla Regis Metallia si entrava a lavorare da ragazzini, e tutti erano stati più giovani di lui. Piuttosto era una questione di mentalità: per loro la Regis Metallia era diventata la vera casa e tutto ciò che c’era fuori da lì aveva una forma indefinita e poco affascinante. Si viveva per l’azienda più che per una famiglia che si conosceva appena. Le serate erano sempre troppo lunghe. I sabati e le domeniche facevano paura. Poi per fortuna arrivava il lunedì mattina, e quel cartello all’uscita 8 della tangenziale – REGIS METALLIA – regalava un senso di sollievo. Ecco che la respirazione poteva tornare regolare, come dopo un incubo troppo vivido.
Ivan era il loro esatto opposto. Per lui lo spogliatoio era il limbo prima del paradiso che ritrovava ogni giorno uscito di lì. Un paradiso povero, forse, ma che profumava di aria fresca e libertà.
Senza neanche sedersi si tolse le scarpe antinfortunistiche e la tuta macchiata di grasso, e pensò che sarebbe andato a farsi una corsa al Valentino. Aveva bisogno di ripulire i polmoni che ormai sospettava sapessero di ferro e olio industriale. Si diede una spazzolata veloce per togliere quei pezzi di truciolo che poi a casa trovava ovunque, fino nelle mutande. Si guardò un attimo allo specchio e fu felice di constatare che quantomeno l’aspetto esteriore non era stato ancora intaccato. Quello che vedeva – o intravedeva, dal momento che lo specchio era piuttosto sporco – era un ragazzo di venticinque anni, atletico, pieno di vita e ricco di potenzialità.
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