Anna Spinelli, Quando le vongole erano avventura

Oggi ci si può divertire giocando in rete, ma nell’Italia che camminava sul tappeto rosso del boom economico, i divertimenti erano ancora una squisita prerogativa dell’inventiva personale. I bambini, armati di fumetti e B-movie triturati dai proiettori delle salette parrocchiali, non avevano problemi in questo senso. Se poi si aggiungevano i sacri testi di Verne, Salgari, Stevenson e persino della Alcott, non c’era davvero limite al trasformare il proprio tempo in una gioia ineffabile in technicolor.
Ricordo che una sera, dopo una di quelle cene sfiancanti tra parenti che ripetevano sempre le stesse cose, dovendo sparecchiare per non star tra i piedi ai grandi, ne approfittai per giocare al fantasma che danzava, coperto da una tovaglia sul ciglio della strada, e mi spunta ancora un riso irrefrenabile al ricordo dei centimetri di gomma lasciati dalle frenate dei malcapitati passanti e dei rosari di madonne conseguenti. Il fantasma ovviamente, aveva già studiato percorsi di fuga alternativi da far invidia all’ancor proibitissimo Diabolik. Tuttavia, se tornassi indietro, non cambierei quella sera con una lezione di bonton nei palazzi di Paris Hilton.
Se poi dopo aver letto delle peripezie di Barbicane, Nicholl e Ardan dalle parti della luna – pur con la teoria interminabile di nomi di crateri lunari – capitava che un volenteroso pilota sorridente, si faceva per la prima volta catapultare in orbita attorno alla terra, beh, allora non c’era davvero più confine invalicabile tra il sogno e la realtà, ed entrambi erano a portata di mano per chi era deciso a crescere.

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