Matteo Parmigiani, Piatta è la campagna
Radio e Tv
Pagine: 196
Isbn: 9788832207477
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 12 maggio 2023
Leggi come inizia
Isbn: 9788832207477
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 12 maggio 2023
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«Quando si è giovani, ci dice Matteo Parmigiani, la rabbia è la forma che assume l’amore per la vita» (Raul Montanari)
Tredici anni sono un’età maledetta da passare in campagna. Hai già i desideri di un adolescente, ma i mezzi e le libertà sono quelli di un bambino. Soprattutto se vivi a Rialzo, un paese della pianura padana talmente isolato da sembrare fuori dal tempo. Le persone che lo popolano sono rozze, meschine e ignoranti. Poi c’è Matteo: è al suo ultimo anno di scuola media e la vita gli sembra ancora una promessa, mentre le stagioni si rincorrono, come i suoi desideri.Nell’anno cruciale in cui passa dall’età dell’innocenza a una prima consapevolezza adulta, Matteo si trova a combattere contro la realtà soffocante della vita di provincia. Qui, tra lotte famigliari, faide, fughe, cotte e prime sbronze, comprende di doversi ribellare all’ottuso fatalismo di cui l’intero paese sembra essere vittima.
Piatta è la campagna è un romanzo di formazione scritto con la freschezza e l’entusiasmo dell’adolescenza, un’epoca in cui tutto sembra accadere per la prima volta, al punto che perfino solitudine e noia appaiono come qualcosa di elettrizzante.
(Copertina di Stefano Bonazzi)
Matteo Parmigiani
Matteo Parmigiani è nato a Crema nell’aprile del 1986. Ha passato infanzia e adolescenza tra l’Adda e la campagna cremasca. Nel 2005 è stato adottato dalla città di Milano, dove ora vive e lavora. Piatta è la campagna è il suo primo romanzo.
Come inizia
La mezzanotte era passata da pochi minuti quando uscimmo dal salone dell’oratorio per vedere il Righi che accendeva i fuochi d’artificio. Quattro razzetti, niente di che, ma a quell’età mi sembravano una gran cosa. Non che si potesse fare molto di più a capodanno in un paesino di neanche mille anime. Tredici anni sono un’età maledetta da passare in campagna. Hai già i desideri di un adolescente ma i mezzi e le libertà sono quelle di un bambino. Tutti lo sapevano, per questo il Righi e altri più grandi avevano organizzato la festa. Righi era l’uomo di fiducia di don Tonino. Aveva le chiavi dell’oratorio, serviva messa, gestiva il bar e soprattutto la cassa. I suoi modi effeminati e la voce nasale avevano scatenato malelingue e pettegolezzi sulla sua omosessualità. A me quelle chiacchiere non interessavano. Righi mi stava simpatico e in più aveva organizzato la festa.
Alcuni ragazzetti per strada scoppiarono miniciccioli e raudi. Li conoscevo, facevano le medie con me ma più piccoli, erano di prima. Li trovavo fastidiosi, insopportabili. Stavo davvero diventando grande. Vedemmo il cielo aprirsi e colorarsi. Fuochi gialli, arancio e viola si riflettevano sui nostri visi pieni di stupore.
Finito lo show pirotecnico tornammo dentro. Sgomitando tra la gente raggiunsi il tavolo adibito a buffet e presi due flûte di spumante. Dovetti fammi largo tra la folla e quando uscii dalla calca raggiunsi Campo e gli porsi un bicchiere. «Grazie» mi disse.
«Buon anno».
«Alla tua».
Giorgio Camparini, detto Campo, a quel tempo era forse il migliore amico che avevo. Pallido e mingherlino, era in classe con me. Vicini di banco e compagni di sventure.
Alzammo i calici e li facemmo tintinnare. Lo spumante era frizzante e acido. Ne mandai giù un po’ a fatica, poggiai il bicchiere e mi pulii la bocca col dorso della mano.
«Tra quanto devi andare?» mi chiese.
«Ho libera uscita fino all’una».
«Anch’io. Che palle».
Restammo in silenzio e tornammo a fissare il salone. Questo era il bello di Campo, con lui si poteva passare un pomeriggio senza scambiarsi una parola e si stava comunque bene.
Alcuni ragazzetti per strada scoppiarono miniciccioli e raudi. Li conoscevo, facevano le medie con me ma più piccoli, erano di prima. Li trovavo fastidiosi, insopportabili. Stavo davvero diventando grande. Vedemmo il cielo aprirsi e colorarsi. Fuochi gialli, arancio e viola si riflettevano sui nostri visi pieni di stupore.
Finito lo show pirotecnico tornammo dentro. Sgomitando tra la gente raggiunsi il tavolo adibito a buffet e presi due flûte di spumante. Dovetti fammi largo tra la folla e quando uscii dalla calca raggiunsi Campo e gli porsi un bicchiere. «Grazie» mi disse.
«Buon anno».
«Alla tua».
Giorgio Camparini, detto Campo, a quel tempo era forse il migliore amico che avevo. Pallido e mingherlino, era in classe con me. Vicini di banco e compagni di sventure.
Alzammo i calici e li facemmo tintinnare. Lo spumante era frizzante e acido. Ne mandai giù un po’ a fatica, poggiai il bicchiere e mi pulii la bocca col dorso della mano.
«Tra quanto devi andare?» mi chiese.
«Ho libera uscita fino all’una».
«Anch’io. Che palle».
Restammo in silenzio e tornammo a fissare il salone. Questo era il bello di Campo, con lui si poteva passare un pomeriggio senza scambiarsi una parola e si stava comunque bene.
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