Pablo Echaurren, Bassi istinti. Elogio del basso elettrico


Bassi istinti

Radio e Tv


  • Intervista a Pablo Echaurren su Rai Radio 2 nel programma "Gli spostati" (30 dicembre 2009)

  • Pagine: 192 (contiene 16 pagine a colori e 30 illustrazioni)
    Isbn: 9788895865096
    Collana: Fernandel
    Data di pubblicazione: maggio 2009
    Leggi le prime pagine



    «Anche solo a guardarlo, il basso mi produce uno stato di eccitazione viscerale elettrospinale altrimenti detta pelle d’oca. Non parliamo poi sfiorarlo, toccarlo, strofinarne il manico e lisciargli le corde. Sortisce l’effetto tipico della lampada di Aladino: spirali di fumo, visioni, apparizioni...»


    Può la passione per uno strumento musicale devastare la psiche di un essere umano? La risposta è sì, specie se la passione si trasforma in collezionismo. Pablo Echaurren racconta per filo e per segno i meandri della mania collezionistica scatenatasi attorno al basso elettrico. Quello che si affaccia da queste pagine è un mondo drogato, popolato da pusher senza scrupoli, maniaci in astinenza, aste miliardarie e scempiaggini planetarie. Avventure parossistiche e frammenti di storia del rock mettono in scena un’operetta semiseria i cui protagonisti assoluti sono Fender, Gibson, Rickenbacker, Danelectro, Eko, Wandrè. Marchi che si imprimono a fuoco sulla pelle di ogni bass addict.
    Copertina di Eleonora Bolsi.

     Pablo Echaurren in posa con una parte della sua collezione di bassi
    Pablo Echaurren è nato nel 1951 a Roma, dove vive e lavora. Artista e pittore, si è dedicato alla scrittura dopo aver realizzato controfumetti d’avanguardia per “Alter Alter” e “Frigidaire”. Con Fernandel ha dato alle stampe lo sperticato elogio dei Ramones (Chiamatemi Pablo Ramone, 2006), due romanzi ambientati nel mondo dell’arte contemporanea che hanno per protagonista la lesbocommissaria Vanessa Tullera: Bloody Art (2006), e Terra di Siena (2007), e un libro dedicato al basso elettrico (Bassi istinti, 2009).
    Wikipedia gli dedica una pagina.

    La passione inizia dal basso


    Amo i bassi, ma non sono gay.
    Non che c’abbia qualcosa contro i gay. Non lo sono. Punto.
    Amo i bassi nel senso della chitarra basso, lo strumento musicale. Li amo e li suono.
    Oddio, suonare è un termine un po’ forte, sbilanciato, azzardato. Li strimpello. A dire il vero anche strimpellare è un tantinello troppo impegnativo. Li martello, ci do su di scalpello, li massacro anzichennò.
    Li pesto a dovere, insomma.
    Non è che mi credo chissà chi.
    Sono perfettamente conscio dei miei limiti.
    Lo so che sono un impedito, un paralitico, un monco.
    Ma non mi do per vinto. Non demordo. Sono un po’ sordo da quell’orecchio lì.
    Seguo pedissequo la lezione di Dee Dee, Dee Dee Ramone. Non saper suonare ma puntare a rivoluzionare il rock.
    Quanto meno, mi attengo con tenacia al primo assunto: non saper suonare.
    E lo faccio orgogliosamente. Stoicamente.
    Basandomi non tanto sulla chiave di basso quanto su quella inglese.
    Da ragazzino c’avevo anch’io la mia bella band di negati completi, di mocciosi foruncolosi bloccati nello sviluppo. Inaciditi anzitempo. The Lemons.
    Filippo, Alberto, Carlo… il cantante manco mi ricordo come si chiamava. Ah, sì… Giorgio. O forse Giorgio era il chitarrista solista e Carlo il cantante. Boh! Vallo a sape’.
    Gli anni passano. E anche le cellule cerebrali, ormai anchilosate e logorate dal lungo servigio reso, hanno diritto di andarsene in pensione. Here today, gone tomorrow. Anch’esse seguono la grande lezione Ramone.
    Noi Lemons abbiamo fatto perfino qualche serata a pagamento. Non nel senso che passavamo la mazzetta al proprietario del locale affinché ci permettesse di esibirci in pubblico, nel senso che proprio ci pagavano, lui a noi. Incredibile ma vero! Erano tempi d’oro.
    I Beatles, i Rolling Stones, i Them, i Kinks, gli Animals…
    In Inghilterra.
     Un libro che è un'opera d'arte. Una copia di Bassi istinti esposta al Museo d'Arte Ravenna nella mostra dedicata a Pablo Echaurren (2010)
    Qui da noi circolava della robetta sciacquetta, scialba e senza spina (intesa come dorsale, non come unplugged). A parte l’Equipe 84 o i Rokes. E i Chewing gum (quelli di Senti questa chitarra). Ma restano eccezioni alla fregola di compiacere il pubblico bue, pecorone & parruccone.
    Per il resto un mortorio ripetitorio. Un beat raffazzonato, da fiera campestre, da sagra strapaesana, all’amatriciana. O alla puttanesca, a seconda de li punti de vista.
    Per rifiatare non restava che infilarsi al Piper Club. Luci stroboscopiche, cubi di plastica, scenario apocalittico di Autore Ignoto (in seguito seppimo trattarsi del grande Claudio Cintoli). Ci si contorceva in un frenetico shake, ci si pavoneggiava in tenuta da Carnaby Street, ci si stravolgeva un pop fumando bucce essiccate di banana. Una gran puzza!
    Poi uno usciva completamente rintronato. Rigenerato da capo a piedi, con le eliche del DNA spettinate a dovere. Pronto a affrontare la mediocrità della realtà quotidiana. Corazzato di sound, impregnato di Rock around the cock.
    All’improvviso sopraggiunse il ’68 col suo carico di barbe ispide, eskimo e assemblee babbalee in cui tutti bestemmiavano per farsi notare. Una palla sotto tutti i punti di vista. La vertigine della psichedelia sbiadì nella vitiligine monocromatica del verde paramilitare, le vibrazioni op & pop si andarono a riporre e buonanotte al secchio, si rientrò nel vecchio cono d’ombra del musone mammutone che predica a tutto spiano. Insomma prevalse il soggetto catto-corista: cantautorame & canzoni di lotta da gita leninista fuori porta o, peggio ancora, rock progressista.
    A causa di questo intoppo evolutivo emotivo imposto dalla storia, per me il basso è rimasto un atto incompiuto.
    Anche solo a guardarlo, il basso mi produce uno stato di eccitazione viscerale elettrospinale, altrimenti detta pelle d’oca.
    Non parliamo poi sfiorarlo, toccarlo, strofinarne il manico e lisciargli le corde. Sortisce l’effetto tipico della lampada di Aladino: spirali di fumo, visioni, apparizioni.
    Una sublimazione della masturbazione, per coloro i quali scarseggiano di poesia e fantasia.
    Quale che sia la vostra opinione in proposito, comunque dovete sapere che io il basso me lo sogno pure la notte, da sempre. Freud c’avrebbe qualcosina da ridire, penserebbe che è un prolungamento del pene, un investimento della libido, una forma di esibizionismo compresso. Mi dipingerebbe come un moderno itifallo da ballo. Al posto del pisello il manico di un Fender Precision. Con le chiavette e tutto.
    Ne percepisco l’odore, l’afrore di legni e vernici, sento la turgidezza delle corde tese e pese. È peggio della madeleine per Proust. Una pippa vera e propria. Proustatite galoppante all’ultimo stadio. [...].
    Sul numero di Rolling Stones di agosto 2009 Saturnino Celani, bassista di Jovanotti, definisce il libro di Pablo Echaurren «un capolavoro. Cita bassisti che entrano nei negozi e annusano sia il basso che la custodia, beh, io lo faccio!» :-)

    Rassegna stampa

    «Le tappe di una vita dedicata alla ricerca del basso perfetto» (Guitar & Bass, marzo 2011)

    «Un libro fondamentale» (Marco Denti, «BooksHighway», aprile 2009)

    «Anch'io sniffo, ma i bassi» (Marco Dellantonio, Lettera.com, 6 luglio 2009)

    Dopo un'inquieta adolescenza da rocker romano, trascorsa tra il Piper (quello vero, non lo scheletro disseccato visitabile di questi tempi) e le prove della sua band (i Lemons), Pablo Echaurren aveva perso le tracce del suo Precision, impegnato com'era ad iniziare una promettente carriera di artista figurativo. Ma evidentemente non ne aveva avuto abbastanza perché quarant'anni dopo lo ritroviamo con un (altro) Precision appeso al collo a martoriare i Ramones (il tempo passa). Ma il peggio arriva quando il nostro decide che il Precision non basta: li vuole tutti. O almeno tutti quelli su cui riesce a mettere le mani. Da qui alla scoperta del mondo dei collezionisti di strumenti vintage il passo è brevissimo e, soprattutto, è impossibile tornare indietro.
    Difficile pensare a qualcosa di meglio di Bassi istintiper inaugurare la sezione "Feticismo" di lettera.com.
    Perché Pablo Echaurren è un feticista del basso elettrico e non ne fa mistero, e questo libro è un viaggio nei meandri del vizio del nostro eroe, una traversata dell'inferno dei collezionisti che ha la caratteristica di essere anche il loro paradiso. Aspettatevi lunghe (per le persone normali) dissertazioni sull'opportunità o meno di rimpiazzare le viti mancanti di pregiati "pezzi" vintage con volgari sostitute di ferramenta, o tirate (sacrosante) contro la moda del relic ossia degli strumenti finto antico che impazza in tutto il mondo, oltre ad aneddoti di ordinaria follia che danno conto degli incauti acquisti (via Internet ma non solo) che il nostro ha inanellato negli anni, in un crescendo che, dagli ovvi strumenti Fender, Gibson e Rickenbaker dei primi anni lo ha portato ad esplorare le esotiche lande della produzione italica (Crucianelli, Eko, Wandrè), ormai morta e sepolta ma non dimenticata. Per contro, poco o niente si dice del suono degli strumenti e, a dirla tutta, non è proprio una sorpresa.
    Prima che cominciate a chiedervi che tipo d'uomo potrebbe sprofondare a tal punto sappiate che nessuno è al sicuro e che chi oggi pensa di che una cosa non potrebbe accadergli potrebbe essere la prossima vittima. Anch'io ero come voi, e ora, dopo qualche mese di bassi istinti sono diventato come lui... Dimenticavo, alcuni pezzi della collezione Echaurren sono in mostra all'Auditorium di Roma (V.le de Coubertin) fino al 30 luglio 2009.

    «Sua Bassezza, la vita ha quattro corde» (Valerio Corzani, «Alias», 19 luglio 2009)

    «Nascere lo stesso anno in cui è stato varato il primo Fender Precision (1951) è un segno del destino» (Manuel Graziani, «Rumore» # 212, settembre 2009)

    Per Pablo Echaurren nascere lo stesso anno in cui è stato varato il primo Fender Precision (1951) è stato un segno del destino, o una croce: dipende dai punti di vista. Anche se poi si è affermato come sopraffino dipintore et funambolico scrittore, il passo verso la “monomania, delirio di onnipossanza, bulimia” nei confronti del basso elettrico è stato davvero breve. Ciò significa far diventare questione di vita o di morte possedere un Framus come Bill Wyman, l’Hofner Cavern di Paul McCartney, il Gibson Thunderbird, un qualsiasi meraviglioso Rickenbacker, un Burns con le corna da bisonte, un “missilistico & contadinesco” Billy-Bo Gretsch, un cornutello Longhorn Danelectro. Così come carezzare le curve sinuose della Vox made in Recanati e quelle spigolose della Hagstrom o, ancora peggio, inerpicarsi nei “territori inesplorati e poco prezzati” di roba esotica griffata Teisco, National, Guyatone, Kay, Klira, Kent, Jolana, Hoyer, Tokay e vai e vai. Per non parlare dell’italico artigianato fuori di testa che risponde(va) al nome di Eko, Crucianelli e, soprattutto, Wandrè, ovvero Antonio Pioli, “misconosciuta anarcodivinità” tutta, ma proprio tutta, da riscoprire. Ciò significa anche farsi ogni mattina il giro di Peppe su ebay, siti specializzati, magazzini on line, mercatini musicali, scambisti maniacali e persino assoldare un personal bass shopper cazzuto come Lorenzo Pelle dei surfurei bolognesi Faraons. E non ha nessuna importanza se tutto questo lo si fa non potendo neanche allacciare le scarpe a gente come Mike Watt (ma manco a Sid Vicious o a chi per lui).
    Il vecchio Pablito sta a metà tra il genio e lo scemo di quartiere, come il suo mito Dee Dee Ramone. Un indefesso onanista delle 4 corde che per saziare la sua bassa rota sfranteca i coglioni a fabbricanti, negozianti, rappresentanti, loschi pusher del vintage. Bassi Istinti è un libro dalla scrittura muy vervosa e dalla rima che si fa prosa: l’ipotetico risultato di un’improbabile jam tra Ric & Gian e Andrea Pazienza. Ma io non faccio molto testo essendomi testé accattato un catorcio prodotto in DDR nei primi ‘70 che risponde al nome di Musima de Luxe 25 B. Un pezzo di legno in sunburst sul quale, ça va sans dire, non so mettere mano, come l’autore di questo delizioso libercolo.

    «Un panegirico del basso a 360 gradi» (Carlotta Vissani, Mangialibri.com, settembre 2009)

    La parola basso viene istintivamente collegata alla marca più famosa in commercio da sempre: Fender. La coincidenza è che Pablo Echaurren è nato proprio nel 1951, anno in cui uscì il primo modello di basso Fender, il Precision, mitico e intramontabile strumento a sei corde, ma attese di avere sedici anni prima di potersi concedere il primo gioiellino - un Fender guarda caso - scambiato poco dopo con un Gibson semiacustico stereofonizzato che mai poté eguagliare le prestazioni del primo amore. C’è da dire che sono molte, quasi infinite, le marche storiche – meglio se si tratta di nomi ormai definibili vintage – come lo sono i modelli, riconoscibili unicamente da un occhio esperto, da un vero appassionato. Solo chi se ne intende può infatti riuscire ad associare un Gibson, un Rickenbacker o un Wandrè a un gruppo storico, siano essi i Beatles, i Rolling Stones, gli Animals o i Ramones di cui Eucharren va pazzo. A quali follie e atti sconsiderati può condurre l’ossessione per un basso? Sino a dove ci si può spingere pur di accaparrarsi un basso autografato, piuttosto che un modello ormai introvabile o un plettro appartenuto a una star?
    Echaurren, che dei Ramones ha già scritto abbondantemente in un libro dal titolo Chiamatemi Pablo Ramone, ci accompagna nell’universo del mostro a quattro corde intrecciando la storia del basso alla sua vita personale, alla mania del collezionismo e del possesso (folli le corse su Ebay e spasmodica la ricerca in Rete e sui giornali specializzati), indipendentemente dalle capacità reali di suonarlo (a detta di Pablo alquanto scarse). Una panoramica densa di dettagli a celebrare la nascita e la crescita di uno strumento che ha cambiato la storia della musica, permettendo alle band di sostituirlo al contrabbasso, più limitante per peso, mole e possibilità di amplificazione. Con uno stile 'terra terra' (in senso positivo), comprensibile e ironico nonostante la nomenclatura spesso difficile da afferrare per chi non è del mestiere, Pablo decide di confezionare un panegirico del basso a 360 gradi, sottolineando come siano proprio i bassi istinti e l’impulsività incontrollabile di chi lo ama e lo venera a renderlo uno strumento immortale, al servizio delle menti più geniali.


    I libri di Pablo Echaurren pubblicati da Fernandel