Fabio Carbone, Uru
Radio e Tv
Pagine: 120
Isbn: 9788832207439
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 20 gennaio 2023
Leggi come inizia
Isbn: 9788832207439
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 20 gennaio 2023
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Una creatura misteriosa turba il sonno di Paolo, gettandolo nell’angoscia. La sente muoversi lungo il perimetro della stanza, picchiettando il pavimento con le sue unghie ricurve. Finché una notte, svegliandosi con la sensazione di soffocare, nella penombra della camera distingue le sembianze di una grossa bestia accovacciata sul suo petto, intenta a scrutarlo. L’incontro dura pochi istanti, prima che la creatura con un balzo si dissolva nel buio lasciando Paolo nello sgomento.
Nel frattempo una morte inspiegabile, forse un omicidio, scuote il call center dove lavora, già in subbuglio perché in procinto di essere delocalizzato. La polizia indaga senza esito, mentre tutto sfugge in una realtà rarefatta, sospesa fra l’inquietudine e l’allucinazione.
Sullo sfondo di un Salento fatto di campagne abbandonate e invase dai rifiuti, Fabio Carbone mette in scena il contrasto fra un mondo nuovo, governato dal cinismo e dalla mancanza di empatia, e la morente società contadina, di cui solo un’eco lontana lambisce la contemporaneità. Nel mezzo, sospeso tra il mondo vecchio e quello nuovo, c’è l’uru, creatura già presente nelle credenze di molte civiltà contadine. Manifestazione dei timori più reconditi e delle colpe mai espiate, di quegli impulsi più arcaici da cui la modernità si illude di essersi emancipata, essi prendono la forma dell’animale, una creatura fatta della stessa carne di chi ne subisce i tormenti.
(Copertina di Stefano Bonazzi)
Segnalazione di merito alla XVIII edizione del Premio Vitruvio
Fabio Carbone (foto di Davide Ingrosso)
Fabio Carbone (1986) vive a Guagnano, in provincia di Lecce. Laureato in giornalismo, è un analista di contenuti radiotelevisivi. Tra il 2016 e il 2020 ha fondato e diretto la casa editrice Ofelia. Uru è il suo primo romanzo.
Come inizia
Le mani rugose e sapienti di Pompilio accarezzavano dolcemente la chioma della vite, andando a staccare i germogli e le foglie in eccesso. Legavano poi, con fibre di rafia, i ramoscelli più giovani al filo di ferro della spalliera, convogliandoli in una crescita ordinata e al riparo dai pericoli del suolo. Come un maestro d’arpa che sa quali corde toccare, l’anziano contadino eseguiva a memoria quelle operazioni che tanto tempo prima gli aveva insegnato suo padre, che a sua volta le aveva apprese dal nonno.
Poco lontano, Paolo, che delle cose della campagna nulla sapeva e niente aveva mai voluto imparare, procedeva nella sua corsa lenta e affannata sul ciglio delle strade dissestate del contado, come un corpo estraneo in quello scenario che evocava epoche remote inspiegabilmente sopravvissute all’avanzare dei tempi. Ai bordi dell’asfalto, le lucertole impaurite dal suo incedere frusciavano tra le sterpaglie, che solo parzialmente riuscivano a nascondere immondizia di ogni genere: piastrelle, cessi, mucchi di materiale di risulta, residui di lavori edili di dubbia regolarità; materassi, coperte e copertoni; bottiglie di vetro, bottiglie di plastica, volantini promozionali dei supermercati con imperdibili offerte ormai perdute; qua e là anche qualche santino dal sorriso sbiadito, eco lontana di campagne elettorali già dimenticate; e, ancora, scarpe spaiate, poltrone sfondate, sedie bruciate; profilattici anatomici, stimolanti, ritardanti, cimeli di guerra e d’amore imboscato nei fondi. Di tanto in tanto si ergeva dalla folta vegetazione dei campi abbandonati qualche vecchio frigorifero, o anche il tubo catodico di un televisore obsoleto, mentre un fico d’India cullava tra le sue braccia spinose un saccone nero, gravido di misteriosi e variegati rifiuti. La natura accoglieva così gli scarti di una civiltà superiore, mentre piano piano si riprendeva gli spazi lasciati da un’agricoltura morente, cui solo i vecchi come Pompilio opponevano una strenua resistenza, ultimi custodi di un codice di conoscenze e di tradizioni spazzato via dal progresso. Indifferenti ai progetti dell’uomo, ciuffi di canne spuntavano qua e là tra i poderi, mentre la macchia ingurgitava terreni negletti, masserie diroccate e canali dimenticati, a ricordare a tutti il volto vero di quel territorio, modellato da secoli di attività antropica. A ribadire che ogni cosa su questo pianeta è di passaggio, e alla terra ritorna, in un modo o nell’altro.
Poco lontano, Paolo, che delle cose della campagna nulla sapeva e niente aveva mai voluto imparare, procedeva nella sua corsa lenta e affannata sul ciglio delle strade dissestate del contado, come un corpo estraneo in quello scenario che evocava epoche remote inspiegabilmente sopravvissute all’avanzare dei tempi. Ai bordi dell’asfalto, le lucertole impaurite dal suo incedere frusciavano tra le sterpaglie, che solo parzialmente riuscivano a nascondere immondizia di ogni genere: piastrelle, cessi, mucchi di materiale di risulta, residui di lavori edili di dubbia regolarità; materassi, coperte e copertoni; bottiglie di vetro, bottiglie di plastica, volantini promozionali dei supermercati con imperdibili offerte ormai perdute; qua e là anche qualche santino dal sorriso sbiadito, eco lontana di campagne elettorali già dimenticate; e, ancora, scarpe spaiate, poltrone sfondate, sedie bruciate; profilattici anatomici, stimolanti, ritardanti, cimeli di guerra e d’amore imboscato nei fondi. Di tanto in tanto si ergeva dalla folta vegetazione dei campi abbandonati qualche vecchio frigorifero, o anche il tubo catodico di un televisore obsoleto, mentre un fico d’India cullava tra le sue braccia spinose un saccone nero, gravido di misteriosi e variegati rifiuti. La natura accoglieva così gli scarti di una civiltà superiore, mentre piano piano si riprendeva gli spazi lasciati da un’agricoltura morente, cui solo i vecchi come Pompilio opponevano una strenua resistenza, ultimi custodi di un codice di conoscenze e di tradizioni spazzato via dal progresso. Indifferenti ai progetti dell’uomo, ciuffi di canne spuntavano qua e là tra i poderi, mentre la macchia ingurgitava terreni negletti, masserie diroccate e canali dimenticati, a ricordare a tutti il volto vero di quel territorio, modellato da secoli di attività antropica. A ribadire che ogni cosa su questo pianeta è di passaggio, e alla terra ritorna, in un modo o nell’altro.
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