Elena Battista Elena Battista, L'emiro di Comacchio


Èda un po' che Angela e Walter hanno perso l'abitudine di uscire la sera.
Da ragazzi lo facevano. Walter guardava l'orologio già dalle quattro del pomeriggio, e non gli importava niente se il funzionario si spazientiva e cercava di rifilargli una pratica rognosa e urgente, apposta. Qualunque cosa gli scivolava addosso, qualunque cosa che non fosse Angela.
Lei aveva più tempo, anche per aspettarlo. Dopo l'università aveva accantonato il sogno di insegnare, scoraggiata. Aveva provato a chiedere in giro per fare delle supplenze, ma le poche volte che l'avevano chiamata era stato dalla sera alla mattina, magari in una scuola a duecento chilometri. Non era pigra, ma aveva fatto resistenza a quel mondo di moduli, graduatorie e segretari con la voce strascicata. Per un po' si era sentita in colpa. Aveva anche smesso di andare dalla parrucchiera a farsi fare i colpi di sole, si vergognava di pesare su sua madre. Poi si era stancata di tenersi i capelli color topo e si era messa a dare lezioni private.
Aveva tutto il tempo del mondo, e alle quattro del pomeriggio incominciava a pensare alla serata. Cosa mettersi, lo smalto alle unghie da cambiare, le scarpe da abbinare. Mangiava qualcosa insieme a sua madre, seduta in punta alla sedia per non sgualcire i pantaloni di raso o sfilare le calze operate. Alle otto passava Walter e si andava.
Poi è cambiato tutto. Da quando si sono sposati c'è il mutuo da pagare, Walter ha cercato in tutti i modi di farsi amico il funzionario, e le pratiche urgenti che arrivano alle cinque del pomeriggio adesso le aspetta con ansia. Soprattutto da quando hanno iniziato a prendere i ragazzi giovani, quelli che lo straordinario non ce l'hanno e sono disposti a fare anche due ore di più al giorno gratis, sperando di mettersi in luce e ottenere altri tre mesi di contratto. Per un po' Angela lo ha aiutato. Dopo i primi mesi passati a sistemare per bene la casa si è rimessa a fare lezioni private. Adesso riceve i suoi studenti nel bel tinello con i mobili color faggio rosato e i bicchieri del servizio buono nella vetrinetta accanto alla finestra. Per un periodo si è potuta permettere anche le mèche, ha dovuto smettere quando è rimasta incinta di Cinzia. Oltre al problema dei soldi vomitava di continuo, e anche quando stava meglio dalla bocca le uscivano dei rumori che proprio non se la sentiva. Aveva perfino vergogna di andare a fare la spesa, perché le era capitato un paio di volte di ruttare in faccia al panettiere ed era diventata tutta rossa. I capelli sono tornati color topo ma pazienza, dicono che tingerli fa male al bambino.
Da quando è nata Cinzia poi, di uscire di sera non se ne è proprio più parlato. Non che Cinzia sia una bambina difficile, è socievole e sta con tutti, soprattutto con la zia Mirella. Ma i soldi non bastano mai, Angela dorme poco, le rughe di espressione di Walter si sono fatte più profonde e lei si sente soffocare da una sensazione di impotenza che le spegne il sorriso.

Stasera però è diverso. È stato Walter a organizzare tutto. Ha detto ad Angela di chiudere gli occhi e lasciarsi portare. È tornato stranamente presto dal lavoro, ha preso sua moglie per mano e l'ha accompagnata dal parrucchiere. Quando Angela se n'è resa conto le sono scese le lacrime e non è riuscita a fermarsi. Quando la Gina le ha portato il solito caffè lungo con due bustine di zucchero, quello che beveva da ragazza, sembrava una diga rotta.
«Non voglio sentire storie» aveva sentenziato Walter con tono deciso e un po' buffo, uomo con la barba nera tra carrelli rosa colmi di tinture e spazzole. «Quando esci di qui ti voglio vedere con il sorriso e i capelli biondi. Lo so che ce li hai, sotto a quel casco spettinato che ti porti in testa da un po'». Angela lo aveva guardato riconoscente. Aveva cercato di borbottare qualcosa, poi si era lasciata cadere nella poltroncina dai braccioli cromati con un piccolo verso da animaletto, a metà tra il sospiro e il singhiozzo. Era tornata a casa ringiovanita di cinque anni, con i capelli chiari e lucidi. Ad aspettarla a casa aveva trovato Mirella. Cinzia rideva, con le mani nella pasta di sale e i capelli impiastricciati. «Noi due ci divertiamo un sacco» le aveva detto Mirella indicando Cinzia. «Tu adesso ti cambi che c'è un'altra sorpresa».
Walter aveva suonato alla porta alle 9 precise. Si era vestito elegante, con il completo scuro che mette solo per incontrare il direttore, in sede, in mano un mazzo di gerbere arancioni. Le aveva date ad Angela che era rimasta immobile, gli occhi spalancati, a disagio sui tacchi che non portava da anni. Mirella era stata veloce a toglierle i fiori di mano, sembravano quasi troppo pesanti per Angela. «Questi li metto io nell'acqua. Voi due andate, su». Cinzia non aveva nemmeno sollevato lo sguardo dal tavolo, pugnalava una pallina di pasta morbida con le piccole dita come pistoni.

Il ristorante era grande e molto illuminato, facile immaginare il pranzo di una prima comunione o una pizza di fine anno scolastico. Alle pareti rosa salmone si affollavano quadri di tutti i tipi, riproduzioni sbiadite di impressionisti francesi, cornici contrastanti e qualche bassorilievo placcato oro, riproduzione di un dipinto famoso tirata in 10.000 esemplari numerati. «Mi ha detto un mio collega che qui si mangia bene» disse Walter. Angela era troppo stordita ed emozionata per notare le brutte sedie di metallo nero con il cuscino imbottito di una stoffa a disegni sfumati azzurri e verdi. Si guardava intorno come fosse appena arrivata in un paese straniero. Si sedettero ad un tavolo per due, nell'angolo di una delle sale, non troppo grande, dove c'era solo un altro tavolo, apparecchiato per una decina di persone. Un cameriere con il farfallino di traverso li vide e si avvicinò, accese la candela. Walter ordinò con sicurezza due menù degustazione, cercando lo sguardo di Angela, che annuì muta. Con un piccolo sorriso.
«Sei sempre carina» le disse Walter. Lei allargò un poco il sorriso. Girò intorno lo sguardo. «Davvero?» chiese.
Quando il cameriere portò l'antipasto, iniziarono ad arrivare gli occupanti della tavolata. Entrò per primo un uomo piuttosto anziano, il volto segnato e pesante, la pelle abbronzata. Portava i capelli tinti di scuro e tirati indietro con il gel, e pesanti bracciali d'oro. Si sedette al centro del lato lungo del tavolo. Angela notò che aveva la camicia fuori dai pantaloni, e scarpe lucide e tozze. Subito dopo entrarono le ragazze: sette, e non potevano avere più di vent'anni. Erano quasi tutte bionde, indossavano abiti corti e aderenti, calze velate e tacchi altissimi. Si sedettero intorno al tavolo, sorridevano in un tintinnare di gioielli dorati e luccicanti.

Angela guardava la scena affascinata. Posò perfino la forchetta. Walter se ne accorse e solo allora sollevò lo sguardo. «Cosa c'è?» chiese.
«L'hai visto?» bisbigliò Angela, «avrà settant'anni. Cosa ci fa con delle ragazze così giovani?»
Walter fece una smorfia e non rispose. «Il carpaccio di tonno è delicatissimo, ti piace?»

Ma Angela non aveva fame, giocherellava con le fettine rossastre e sottili disposte a petalo al centro del grande piatto bianco e non riusciva a staccare gli occhi dal tavolo accanto. Il cameriere dal farfallino si avvicinò all'uomo, che ordinò caraffe di birra e carne arrosto con le patate fritte. Le ragazze squittirono di gioia, lanciando gridolini. Le due sedute accanto all'uomo se ne stavano drappeggiate sulle sue spalle, accarezzandogli le braccia e le guance, macchiandole ogni tanto con un bacio carico di rossetto rosa. Tutti ridevano e parlavano a voce alta. Di quello che avrebbero mangiato, della voglia di fumare e di niente altro. Due ragazze uscirono dalla sala, portando con sé le borsette cariche di strass e catene dorate. Angela le seguì con gli occhi. Il rumore dei tacchi si perdette verso l'uscita del locale, dove si misero a fumare sigarette sottili. Angela riusciva appena a scorgere le volute di fumo, illuminate dall'insegna del locale.

«Ma non mangi niente? Che ti importa di questi qua, pensa a divertirti». Walter asciugava con un po' di pane la marinata del carpaccio.
«Scusa, non ho molta fame» disse Angela. «Non mi sento ancora del tutto a posto. Ma sono contenta di essere qui con te».
«Insomma dai, Angela» disse Walter, improvvisamente serio. «Non è stata colpa tua, l'ha detto anche il dottore, può succedere. Ormai è passato più di un mese».
«Sì, sì. Va bene. Non è colpa di nessuno. Speravo che fosse una bambina, così Cinzia avrebbe potuto giocarci. Invece era un maschio. E non potrà giocare con nessuno». Abbassò lo sguardo e giocherellò con uno stuzzicadenti.

«Adesso però devi smettere di pensarci. Vuoi magari un po' di affettato, se il carpaccio è pesante?»
Le due ragazze bionde rientrarono, Angela se ne accorse dal ticchettio delle scarpe. La ragazza alla destra dell'uomo si alzò e venne sostituita da una di quelle appena tornate. Era una ragazzina con i capelli lunghi, il ciuffo chiaro e liscissimo trattenuto da una stella di lustrini argentati. Si appoggiò alla spalla dell'uomo con un gesto d'abitudine. Angela ne colse lo sguardo e le sorrise. La ragazza sgranò gli occhi, senza espressione. Angela abbassò i suoi, poi li sollevò a guardare il marito, la barba unta e gli occhi nel piatto.
Arrivarono i camerieri, con due enormi vassoi pieni di carne arrosto e patate fritte. Le ragazze li accolsero con grida e risate, l'uomo prendeva i pezzi con le mani e li metteva nei piatti. Con le grossa dita tozze imboccava una ragazzina dai capelli castano chiaro. Lei le succhiava, senza guardarlo. Lui sorrideva, aveva i denti piccoli e radi. Angela pensò che la sua bocca, così slabbrata e carica di denti giallastri e appuntiti, assomigliava a quella di un coccodrillo.

Il cameriere passò a ritirare i piatti di Angela e Walter. Lui chiese cosa prevedeva adesso il menù e annuì soddisfatto. Angela lo guardò, poi guardò il cameriere e sorrise anche lei. Arrivarono gli assaggi di primo, poi i secondi. Angela mangiava distratta, rispondendo con dolcezza ma poca partecipazione a Walter che le raccontava dell'ufficio, dei giovani colleghi che sgomitavano per mettersi in mostra.
«Che c'è, non ti senti bene?»
«No no» sorrise di nuovo Angela. «È che non sono più abituata. Sono un po' frastornata da tutta questa gente. Ma è stata una bellissima idea, uscire, dopo tanto tempo. Chissà se Cinzia si è addormentata».
«Ma sì, certo» le disse Walter. «Stai tranquilla e pensa a divertirti».
Angela annuì, il suo sguardo scivolò di nuovo verso la tavolata accanto.
«Ma secondo te, cosa centrano quelle ragazze con quel vecchio?» Chiese di nuovo. «Con quell'accento ferrarese, e le ragazze che sembrano tutte straniere».
«Sarà l'emiro di Comacchio» scherzò Walter. «Un ricco allevatore di anguille che si è fatto l'harem di moldave».
Angela cercò di sorridere, ma non ci riuscì.

Notò che le ragazze sedute accanto al vecchio cambiavano spesso, anche se la posa era la stessa. Le ragazze lo accarezzavano e lui rideva, le labbra molli e umide, ricambiando le carezze con le grandi mani pesanti. Angela di nuovo spinse lo sguardo fuori dal locale e vide le volute di fumo. Ma da lì, oltre alle spire grigie, veniva solo il silenzio della notte, solo bisbigli e niente risate. Si spense la luce. Persino Walter sussultò, costretto a finire il brasato al barbera alla luce della candela al centro del tavolo. L'uomo dai piccoli denti batté forte le mani.
«Dentro, dentro!»
Le ragazze rientrarono di corsa, tintinnando, tornarono a mettersi tutte intorno al tavolo. Comparve il cameriere con il farfallino. Emerse dalla luce della sala accanto per entrare nella penombra di questa, portando un grande vassoio. Sopra c'era una torta bianca di panna, che posò di fronte al coccodrillo. Lui rise, afferrò per la spalla una delle ragazze che gli erano sedute accanto e la strinse fino a che lei lanciò un urletto e si chinò a raccogliere la borsa. Tirò fuori un accendino, lui lo avvicinò al cilindro di cartoncino che sbucava dalla panna e la stanza si illuminò all'improvviso di scintille bianche che schizzavano verso il soffitto. Le ragazze applaudirono ridendo, l'uomo strizzò gli occhi.

Angela guardava la pioggia di scintille, affascinata. Guardava le ragazze battere le mani, stringersi al vecchio carico di bracciali d'oro, abbracciarsi tra di loro. Sembravano ancora più giovani, quando ridevano. Anche Walter aveva posato la forchetta e guardava la scena. Il coccodrillo lo vide, chiamò il cameriere e fece portare al loro tavolo due fette di torta.
«Il signore vi chiede di favorire e assaggiare una fetta della sua torta di compleanno» disse il cameriere. Walter sorrise e sollevò il piattino in direzione dell'uomo, facendo un cenno con il capo.
Angela non disse niente, si mise solo a schiacciare piano la torta con la forchetta, spargendo tutto intorno la panna.
«Non ti piace?» le chiese Walter. «In effetti forse è un po' dolce, ma è stato gentile».
«Sì, gentile» ripeté Angela.

© 2008 Elena Battista