31 ottobre
«Ventitré e novanta».
Teo Lorini
«L’abbuffata natalizia di regali e pacchettini cercati, voluti ma anche spesso dovuti, mi fa sempre pensare ai forti sottintesi impliciti nel concetto di dono. Quando ha letto questo raccontino, Tiziano Scarpa, che oltre a essere generoso è spaventosamente colto, mi ha raccontato di come, in alcune società tribali, il regalo sia spesso una sorta di pratica magica con cui vincolare il destinatario: alieno una parte di me per appropriarmi di te. È un’idea possente e drammatica, quasi cannibalesca che la nostra modernità ha frullato, trasformandola in un farsesco gioco delle parti».
«È un regalo per mio figlio», spiega il sessantenne distinto, mentre estrae il portafoglio dal cappotto. Poi, accennando al cd che ha acquistato, chiede: «Può togliermi il prezzo per favore?»«Naturalmente».
«E mi fa un pacchetto?»
«Subito», risponde il commesso e prende da sopra il bancone una busta quadrata color oro, con una striscia adesiva per chiudere il margine superiore.
«Ce l’ha solo di quel colore? Non ha una carta meno… meno appariscente? Non siam mica a natale…»
«Mi spiace: c’è solo questa».
«Ma non mi piace», risponde il signore in cappotto, e fa un cenno verso lo scaffale accanto alla cassa: «Perché non usa uno di quei pacchettini blu?»
«Quelli hanno un altro formato».
«Come un altro formato? Che vuol dire?»
«Sono più grandi» spiega paziente il commesso: «Servono per i cd doppi o per i cofanetti».
«E perché non ci può mettere il mio?»
«Perché è un cd singolo. È troppo piccolo».
«Sì, ma ci sta».
«Ci sta, ma siccome è più piccolo, balla nel pacchettino». Il commesso sta iniziando a preoccuparsi. Questo doveva essere l’ultimo cliente prima della sua pausa pranzo e non gli piace la piega che sta prendendo la conversazione.
«Be’, balla, ma il pacchettino è più bello».
Il commesso cede. Afferra uno dei pacchetti blu e ci infila dentro il disco.
«E un fiocco non ce l’ha?»
«No. Non ne teniamo».
«Un nastrino?»
«Niente nastrini».
«Li avete finiti? Se arrivano più tardi posso ripassare…»
«Non sono finiti. Non sono in arrivo. Non ne ho e non li abbiamo mai tenuti».
«Ma ci starebbe bene un nastrino».
«Forse sì. Ma non lo sapremo mai, perché non ci sono nastrini».
«E io come faccio?»
«E io che ne so?» Il commesso ha alzato la voce.
«Oh insomma… Non è il caso di essere così bruschi».
«Io non sono brusco». Il commesso sta guardando l’orologio appeso alla parete di fronte. Sono già passati due minuti della sua pausa pranzo: «Abbia pazienza: sono dieci minuti che lei mi sta chiedendo una cosa che non ho. Mi spiega cosa dovrei dirle?»
«C’è modo e modo per dire le cose. Comunque lasciamo stare. Andrò in cartoleria».
Il commesso tace. Ecco, bravo, pensa: vai in cartoleria e lèvati dalle palle.
«C’è mica una cartoleria qui vicino?»
Il commesso è incredulo: «Non ne ho idea».
«Be’, ma lo saprà che negozi ci sono qui attorno, no?»
«No. Non lo so. Io vivo a Saronno, arrivo alla stazione delle Nord e mi infilo subito in negozio».
«E se le serve una penna?»
«La compro a Saronno e me la porto dietro».
«E se la dimentica a Saronno?»
«La chiedo a un collega».
«E se l’ha dimenticata anche lui?»
«Qui dentro siamo in sei: una penna si trova sempre».
«Una penna in sei? E come fate?»
«Andremo dal tabaccaio!»
«Ma il tabaccaio non vende nastrini…»
«Ma a me non servono i nastrini!!»
«Uhe! Calma eh? Cosa alza la voce a fare?»
Il commesso si arrende: «Senta, guardi, mi scusi: è che sono molto stressato. È un brutto periodo…»
«Vabbè, ho capito, ma non deve mica prendersela con me».
«Ha ragione. Le chiedo scusa. Mi perdoni. Eccole il suo pacchetto», il commesso sta praticamente implorando: «Le serve altro? No? Allora sono ventitré e novanta».
«E se a mio figlio non piace? Può cambiarlo vero?»
«Certo. Quando vuole. Si ricordi solo di tenere lo scontrino».
15 novembre
«Alberto. Elena. Ciao, accomodatevi. Datemi qua».
«Grazie, Alessandra», risponde il dottor Ambrosini, porgendo il cappotto alla nuora: «Dov’è il festeggiato?»
«Eccomi», dice Franco, uscendo dallo studio «Ciao mamma, ciao babbo».
«Ehilà, profesür», il dottor Ambrosini porge al figlio il pacchetto blu: «Tanti auguri, eh?»
«Grazie. Grazie mille. Ma venite, dài, sediamoci di là».
Mentre i suoceri si accomodano in salotto, Alessandra annuncia: «Vado in cucina a prendere la torta» e a Franco: «Amore, tira fuori i bicchieri».
«No, Alessandra, aspetta» la trattiene il suocero: «prima il regalo. E allora, Franco? Non lo apri, il nostro regalo?»
«No, sì. Certo» Franco ammicca alla moglie. Poi scuote il pacchettino: «Chissà cosa sarà, eh, mamma? Aaah, ho capito! E una camicia nuova, vero?», e strizza l’occhio alla madre. Poi scarta il regalo e fa un sorriso incerto: «Ah… Dave Brubeck, Time out… Grazie mille…»
«Guarda che questo è un disco storico. C’è dentro Take five, neh? Sai quel pezzo… Taratarataratarà tarataratarà…», canticchia il dottor Ambrosini, «Hai presente, no?»
«Ah, sì, naturalmente». Franco annuisce tentando di mostrare entusiasmo.
«Che c’è, caro», gli chiede la madre: «Ce l’hai già?»
«No, cioè sì… Veramente…»
«Dio, Franco, mi dispiace…»
«Ma no, mamma, non preoccuparti».
«Vabbè, vabbè», li interrompe il dottor Ambrosini: «Ti ho tenuto lo scontrino, così te ne scegli un altro». E rivolto alla moglie: «Vedi? Se gli prendevamo il maglione come dicevi tu, adesso mica lo poteva cambiare».
A fine serata, mentre finiscono di riordinare, Alessandra sorride al marito: «Certo che tuo padre è sempre un bel cinema! Quel cd non è mica lo stesso dell’anno scorso?»
«Ovvio. Ed era un doppione anche allora! Dio, dev’essere uno dei primi dischi che mi son comprato in vita mia. Ce l’avevo già quando ancora abitavo con loro…»
«E allora sarà per quello che tuo padre si è fissato», risponde Alessandra: «L’avrà sentito tante di quelle volte che gli è rimasto in testa…»
«Sì, però… Maddài, cristo, come si fa a far lo stesso regalo due anni di fila?»
«Su, amore, non ti arrabbiare adesso. Lo sai che è fatto così… E poi puoi sempre cambiarlo, no?»
«Mmm… Sai però cosa stavo pensando? Quasi quasi lo riciclo… Tra un mese compie gli anni l’Antonio: tanto lui non capisce un cazzo di musica, figurati se ce l’ha…»
Alessandra alza gli occhi al cielo.
20 dicembre
«Oh, insomma, Antonio», sbotta Gaia, affacciandosi dal bagno: «mi vuoi spiegare perché sei così malmostoso? È tutta la sera che hai le palle girate… Cosa c’è che non va? La festa è andata bene, no?»
«Massì, certo che è andata bene», Antonio sta riponendo nel cassetto la cravatta: «È solo che Franco riesce sempre a farmi incazzare».
«Franco? E perché?»
«Come “perché”? Ma vacca merda!! Ogni occasione è buona per farmi fare la figura del coglione!»
«Antonio!» Gaia è esterrefatta: «Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? E di un tuo amico, poi?»
«Sì, Titta, proprio perché è mio amico. Ma ti par giusto che ogni volta che mi regala un disco debba fare quelle facce lì?»
«Ma che facce? Ma cosa dici?», Gaia è rientrata in bagno per struccarsi.
«Dài che hai capito, Titta» Adesso è Antonio ad affacciarsi alla porta: «Quell’aria da professorino… Come dire: toh, va, animale. Meno male che ci sono io a regalarti qualcosa di decente…»
Gaia si volta a fissare il suo compagno: «Be’, Tato, non è che tu…»
«Non è che io cosa?»
«E ammettilo, no? Tu fai la stessa cosa: ogni volta che gli regali una cravatta, sembra sempre che lo consideri un barbone».
«No, Titta, non puoi dir così», Antonio scuote la testa, ma dal modo in cui sorride Gaia capisce di averci preso: «E poi… oh, insomma… è vero che si veste da far cagare!»
«È vero», ammette Gaia e si protende per dargli un bacio: «Sai che mi è venuta un’idea?»
«Sarebbe?»
«Dopo le feste non hai il controllo dall’oculista? Dal luminare, lì… come si chiama?»
«Sì, da Tirelli. Embè?»
«Embè, siccome non ti fa mai pagare…»
«Uffa, Titta, me lo ricordi ogni volta. Neanche lo derubassi. Lo sai che è amico di mio papà. E poi è ricco sfondato…»
«Appunto. Stavolta, invece di regalargli il solito Camilleri, gli ricicli il cd di Franco».
«Mmm… Non so… Tu dici che gli piace?»
«Ma certo che gli piace, Tato: alle persone di una certa età piace sempre il jazz».
«Giusto!» esclama Antonio «Titta, amore. Te l’ho già detto che sei una grande?»
23 gennaio
«Elide? Sono tornato» Si annuncia il professor Evaristo Tirelli, primario della clinica di oculistica, poi, ignorando il domestico accorso a prendere dalle sue mani la valigetta e a liberarlo del cappotto, chiede: «C’è qualcuno in casa?» Ogni sera, da quarantasei anni, Tirelli fa questa domanda e da quarantasei anni, ogni sera la moglie risponde dal fondo del corridoio: «Sono qui, Evaristo. Ancora un minutino solo, caro: mi sto truccando…»
Il professor Tirelli sbuffa e si avvia sul parquet verso la camera della moglie: «Buona sera, cara. Hai avuto una buona giornata?», chiede appoggiandosi allo stipite della porta.
«Certo, caro. E tu?» la signora Elide sta passando con mano esperta un filo appena di matita attorno agli occhi, si interrompe, solleva lo sguardo e incontra quello del marito riflesso sullo specchio del boudoir.
«Non male, grazie. A parte il freddo».
«Non parlarmene. Si gela già qui… fuori non voglio neanche pensare!» La signora è tornata a dedicarsi al suo occhio destro.
«Nevicasse almeno… Lo sai chi ho visitato oggi? L’Antonio».
«Ma chi? Il figlio del notaio Orimbelli?»
«Proprio lui».
«Sarà contenta la Marisa, allora».
«La Marisa?» chiede il professore, perplesso: «Ma chi? La cameriera?»
«Certo, caro. Sai quei gialli che ci regala sempre il figlio dell’Orimbelli, no? La Marisa ne va matta! Se li legge in una sera!»
«Stavolta allora mi sa che resterà delusa».
«E come mai?»
«Perché l’Antonio ha cambiato genere».
«Ah sì? E cosa ti ha regalato?»
«Un compact disc, cara».
«Ma che carino! Concerto o sinfonia?»
«Si tratta di jazz, cara», spiega Tirelli, gelido.
«Ah».
Il professore accenna un movimento verso la propria camera, vuole fare un bagno prima di cena e mettersi un abito più comodo. Ma la signora aggiunge: «Ah già. Quasi mi dimenticavo».
«Cosa, cara?»
«Oggi il dottor Ambrosini, sai no?, lo psichiatra…»
«È psicoterapeuta, Elide».
«Come vuoi. Comunque mi ha fatto arrivare le tue pillole, quelle per dormire… Come si chiamano?»
«Stilnox, Elide, si chiama Stilnox», il professore riprova ad allontanarsi.
«Appunto, quelle. Ah, Evaristo». Tirelli si ferma. «Bisogna proprio che gli fai un regalo a quell’Ambrosini. È sempre così gentile».
«Credo bene che sia gentile, Elide», risponde il professore: «Il dottor Ambrosini è venuto in clinica da me per una cataratta. L’ho operato io personalmente. E pure gratis».
«Evaristo!» il tono della signora è carico di rimprovero. Non le piace sentir parlare di soldi.
«Massì, d’accordo, cara», risponde il professore fraintendendo: «La degenza l’ha pagata. E vorrei anche vedere: dovevi vedere quanto mangiava…» Sembrava un profugo!, aggiunge Tirelli fra sé.
«Oh insomma!», La signora Elide ha alzato sensibilmente la voce: «Lo sai che questi discorsi da bottega mi urtano».
«Sì, cara. Scusa, cara».
«Non sono niente fini».
«No, cara».
«E inoltre ogni Natale il dottor Ambrosini mi manda un bellissimo mazzo di orchidee. Te lo ricordi, no?»
Minimo minimo, avrà una sorella fioraia!, pensa piccato il professore, che però risponde educatamente: «Certo, cara».
«E appena lo chiamo per le tue pillole, me le fa sempre arrivare in giornata».
«Hai ragione, cara».
«Allora, Evaristo» conclude la signora Elide: «Lo vedi anche tu che bisogna fargli un regalo, no?»
«No… cioè sì! Naturalmente, Elide. Anzi, non preoccuparti», sul viso del professore si dipinge un sorriso. «Ho già in mente un regalo perfetto!» conclude, prima di avviarsi finalmente verso il bagno.
12 aprile
«Mamma. Babbo. Accomodatevi. Datemi qua i soprabiti».
«Ciao, tesoro. Fatti dare un bacio».
«Ecco, mamma. Che bello questo vestito».
«Trovi? Mah, cosa vuoi… A me piaceva perché era una cosina così, sai. Molto semplice…»
«Tieni, Franco», interrompendo la moglie, il dottor Ambrosini porge al figlio lo spolverino: «Dov’è la festeggiata?»
«Alessandra? È in salotto coi suoi, babbo. Sono arrivati un minuto fa».
«Dài, allora: andiamo a farle gli auguri», il dottor Ambrosini dà di gomito al figlio e sorride sornione: «Le ho preso un regalino…» ♦
© Copyright 2007 Teo Lorini (originariamente pubblicato su "Fernandel" n. 59, gennaio-marzo 2007).